sabato 14 settembre 2013

Monviso (3.841 m) Cresta Est

Sito del rifugio Sella
Meteo Monviso 3bMeteo 

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Utile per i commenti delle ultime salite il sito Gulliver
web cam rifugio sella

Attenzione: E' vivamente sconsigliato percorrere a causa della sua pericolosità quella che viene indicata come via di fuga con il nome "via della lepre". Tale indicazione è scritta su un cartello al rifugio.

 

Ultimi sulla vetta 

In questa giornata, memorabile dalla A di andiamo alla Z di ultimi sulla vetta, la montagna è stata ancora una volta lo scenario inerte di una avventura del corpo e dello spirito.
La notte, dormita incastrato nello spiovente del tetto del rifugio, non è stata amichevole.
Nel dormiveglia dell’ansia che precede ogni salita, quando la montagna  è un peso che ti opprime l’anima e ti toglie il fiato,  mi svegliavo pensando: "domani dico che non me la sento"; dopo la seconda o la terza "sveglia", oltre al pensiero maligno, almeno godevo del poco "dormi" che avevo fatto nel frattempo.
4.30 sveglia, colazione
5.15 partenza dal rifugio: ho patito i forfait dell’ultimissimo minuto per dare forfait: sono certo che l’azione fugherà ogni fantasma.
So che almeno una cordata farà la via e così li tengo d‘occhio, così almeno non sbagliamo l'attacco.Non so com'è per gli altri, ma a me le ansie prendono il numero al bancone: adesso serviamo la "Dove sarà l'attacco della via". Si, perchè l'alpinismo è un continuo smarrimento, un perdersi per poi ritrovarsi, insomma un perenne viaggio nell'ignoto: a cominciare dalle cose più evidenti, banali, facili.
Hai voglia a documentarti: lo spazio tra la descrizione e la sua reale comprensione, per quanto possa essere esiguo, è sempre riempito dal vuoto che l'azione deve colmare: e l'azione, nella forma della scelta della decisione è invenzione della realtà.
Seguiamo un terzetto composto da una guida alpina francese con due clienti che  pare uscito dalla pubblicità di un multivitaminico per la terza età; del resto neanche noi su questo terreno scherziamo molto, ma per modestia  non mi dilungo.
Da qui in poi gli orari da segnalare sono solo due: ore 16 circa in vetta, ore 23.45 rientro al rifugio.
Di seguito, in ordine sparso quello che è successo in queste quanto mai lungh ma brevissime  ore.
Alla luce delle frontali seguiamo il terzetto francese sul ripido conoide che porta all’attacco della via. Poco alla volta vediamo altre frontali spuntare e venire verso di noi. Fin da subito i francesi vanno di buon passo, infatti, appena superato il nevaio, che la guida scalina con la picozza (non fidarsi mai di quelli che dicono picca e ramponi inutili: in questo caso erano utilissimi) fuggono verso la cima.
Grazie alle loro tracce superiamo la lingua di neve, prima di noi una cordata, poi altre e singoli  che ci supereranno a loro volta e mi aiuteranno più in alto a individuare la linea di salita.
Il socio fiatona io non canticchio.
Le pietre che facciamo cadere sono incidenti, quelle che ci cadono addosso disattenzioni da rimproverare: capiterà lungo la via, soprattutto nel canale di sfasciumi dopo il torrione di Saint Robert, torrione che noi non saliamo.
La via in generale è pochissimo segnalata. Diciamo che si sale al meglio seguendo due direttrici: inizialmente il torrione di San Robert, e dopo questo la vetta.


Raramente, qualche ometto è di conforto, soprattutto quando non vedendo l’ora di arrivare in cima almeno sai che non stai sbagliando strada.
Per rimanere nei tempi indicati la via va salita la più parte slegati oppure di conserva: le difficoltà sono contenute e non continue.
Noi a causa della stanchezza non abbiamo voluto correre rischi e l’abbiamo salita a tiri: troppi ne senti che andando di conserva sono caduti tutti e due.
Ad un certo punto il socio pensa che sarebbe bene prendere la via della lepre:uscire sulla normale e scendere. Lo propone, io che ricordo  la relazione - che ne sconsiglia l'uso - tra me e me  tergiverso. 
Quando arriviamo al chiodo che ne segnala l’inizio gus ripropone l'opzione e io  vado: si prosegue a sinistra in un traverso sempre più esposto: faccio sosta su un filo di ferro con un maillon, però non vedo altre protezioni, ne vicine ne lontane e tutto pare un casino e decidiamo di tornare indietro, cioè di andare in cima. 
Ad un certo punto sento delle voci: penso sia un’altra cordata, invece provengono dal pian della regina che c’è una manifestazione.
Continuiamo a salire, sembra il tragitto più facile.
L’altimetro è inchiodato, sono sempre 3600 metri di quota. 3620. 3640. Anche gus sente delle voci che provengono dalla cima: in verità è il rumore delle corde quando le recupero.
Procedere a tiri è eterno, ci metti il doppio solo a salire, più i tempi di fare la sosta, recuperare la corda, recuperare il socio, passare la corda. “Gian, mancano dieci metri” e gus che mi dice che è ora di cercare una sosta. Quando recupero la corda il lascomi pare sempre di almeno 20 metri: non dico nulla perchè come fai a misurare una corda arrotolata per terra?
 Per fortuna non mancano spuntoni e fessure. Nut e friend e vai.
Quando arriva alla sosta gus ha poco fiato sbuffa come un mantice.
Gustavo in vetta

Io in vetta
Arriviamo in cima: non c’è nessuno.

Sono le 4 del pomeriggio il tempo è meraviglioso.
Da ore siamo soli sulla montagna. Solo il rumore del volo degli uccelli ci fa compagnia e il loro verso. 
Dalla cima la discesa è molto ben segnalata, ma in un attimo è notte.
È tardi quando arriva l’ora che le mogli aspettano una telefonata.
Già mi ero tenuto largo, ma abbiamo sforato tutto lo sforabile: se va bene mancano almeno ancora 4 ore al rifugio. Dal bivacco Andreotti scendiamo veloci sulla pietraia: il ricordo della strada fatta l’anno scorso mi aiuta a trovare il sentiero per il colle delle Sagnette. Una volta arrivati li siamo veramente fuori dalle difficoltà. Ma se sbagli sentiero poi sei nel difficile, risalire il colle dritto per dritto di notte mi fantastico che sia impossibile.
Con le frontali ci muoviamo di ometto in ometto finchè non troviamo una traccia di sentiero, traccia che poi si perde.
A questo punto a mollare sono io. Mi vedo nella mente la parola Magnesite, si così, scritta con la maiuscola e mi chiedo cosa significa: ci devo pensare un attimo per ricordarne il significato.
La stanchezza mi ha ghermito la mente. Prima propongo di raggiungere il bivacco delle Forcioline, di li possiamo chiamare il 118 che avvisino a casa e al rifugio. Gustavo sostiene che raggiungerlo è peggio che cercare il colle. Continuiamo. Poi propongo di bivaccare dove siamo. Gustavo insiste dice che ci congeliamo, cerca gli ometti, li trova, li seguiamo ed ad un tratto siamo al colle.
Mi sento più leggero. Le gambe sono di legno, la gola è riarsa, ma ormai dobbiamo solo più scendere.
Alle 21.30 arriva un segnale sul telefono di gustavo: prende. Telefoniamo a casa, da casa telefonano al rifugio. Tutti sono avvisati: pace.
Nella notte all’ombra del Monviso ci quietiamo e scendiamo a cuor leggero. Quando il sentiero non finisce mai, il tarlo di averlo sbagliato comincia a lavorare: dovevamo andare dritti dice uno, se è così dovevi dirlo subito dice l’altro. Per fortuna entrambi sappiamo che non siamo noi a parlare ma il demone della stanchezza. Ormai dove siamo siamo e l’unica cosa che dobbiamo fare e camminare tra incertezze che sbucano dalla notte che ci circonda.

Comunque l’idea di aver sbagliato sentiero ci accompagna per tutta la strada anche quando le luci del rifugio sono davanti a noi in cima all’aultima fatica.
Arriviamo e ci aspetta una signora gentile che ci da un thè caldo che a stento buttiamo giù. A mezza notte siamo a dormire.

Web cam del rifugio ore9.40 del 12/09/2013

Dal sito Gulliver




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